I Rohingya e il silenzio del Nobel

Tutti noi siamo rimasti affascinati dalla storia del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, dalla sua eroica lotta per i diritti umani in Birmania contro la dittatura militare. Io personalmente ne rimasi affascinato fin dalle medie, quando ne sentii parlare per la prima volta. Ora il suo partito ‘Lega nazionale per la democrazia’ domina quasi incontrastato in Parlamento (nonostante la piccola rappresentanza militare), è dal 1962 che la Birmania non aveva un governo democraticamente eletto. Eppure ieri ho letto su internet vari articoli riguardo ad un argomento che mi hanno lasciato con l’amaro in bocca. Si tratta della minoranza dei Rohingya, e della loro discriminazione da parte della Birmania. Ma chi sono loro? Perché negli ultimi giorni hanno ”occupato” la scena internazionale mettendo in cattiva luce il presidente Aung San Suu Kyi?

 

I Rohingya sono una minoranza etnica diffusa principalmente tra il Bangladesh e la Birmania, appartenente ad un ramo musulmano. Secondo l’ONU sono la minoranza etnica più discriminata al Mondo, addirittura più dei curdi. Le loro condizioni di vita sono davvero disumane: i bambini non hanno istruzione e le ragazze sono costrette a prostituirsi, i loro villaggi non hanno energia elettrica, non hanno accesso all’acqua potabile. Esiste una legge in Birmania dal 1982, periodo ancora sotto la dittatura militare, che ricorda vagamente le leggi razziste durante i periodi del nazismo e del fascismo: i Rohingya per esempio non possono ricevere la cittadinanza birmana, avere più di due figli, possedere terre e inoltre non possono viaggiare senza un permesso ufficiale. Tutti questi fattori hanno comportato una massiccia migrazione della maggior parte di loro verso il Bangladesh, anche se molti sono rimasti nel loro territorio.

Ma perché torniamo a parlare di loro? In Birmania, come abbiamo detto prima, non c’è più la dittatura e il partito di Aung San Suu Kyi ha in mano quasi tutto il potere grazie alla vittoria schiacciante alle ultime elezioni. Si torna a parlare di loro perché la situazione in Myanmar non è cambiata per niente, con la differenza che adesso non hanno nessun alibi. La “lega per la democrazia” ha la maggioranza in parlamento, controlla quasi tutti i ministeri e per cambiare ci vorrebbe poco. Invece il presidente Suu Kyi rimane in silenzio davanti a questa scena. Perché? Cosa c’è che la frena? Io auspico in un cambiamento, non smetto di crederci, e nonostante tutto confido ancora in Aung San Suu Kyi, una figura che mi ha sempre affascinato per le battaglie che ha portato avanti. Per cambiare ci vuole poco, basta volerlo.

 

Il video parla in breve dei Rohingya

 

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