La scuola non va. E ora?

Piccola premessa. Ciò che scriverò mescolerà esperienze personali e la realtà che vogliono far passare i piani alti (mi perdonerete questo linguaggio complottista)

 

È lunedì 6 Febbraio, nella mia scuola si sta svolgendo l’autogestione organizzata dai rappresentanti di classe e qualche altro volontario (me compreso). Da circa un mese abbiamo cercato di preparare queste due giornate nel migliore dei modi contattando esterni, cercando attrezzatura per varie lezioni, organizzando le classi per non lasciare zone scoperte. Eravamo partiti bene: nessun intoppo, i ragazzi avevano fatto l’appello previsto e fino alle 8.30 tutto filava liscio. Invece qualcosa che non andava c’era, letteralmente: i riscaldamenti erano spenti. Dopo un po’ le acque iniziano ad agitarsi. Nel corridoio di fronte all’ufficio della preside si crea il tappo perché certa gente voleva uscire per colpa del freddo e puntava il dito contro la preside che, oltre a convincerli di non uscire, veniva accusata di non prendere provvedimenti.

Di fronte a questa problematica i nodi vengono al pettine: la disinformazione(e i finti rivoluzionari, ogni scuola ne ha almeno 5), la fragilità della scuola italiana, i tagli ai fondi da parte dello Stato nei confronti delle provincie. Ma andiamo per gradi

La disinformazione. Partiamo da uno dei punti più critici. Qui si vede se la gente conosce l’ambiente come vive e, in base alla loro conoscenza, reagiscono in un certo modo. L’ammucchiata di oggi mi sembrava un’armata pronta per una battaglia contro i mulini a vento. Fiato alla bocca incolpando prima uno poi l’altro come se la provincia trovasse i soldi sotto terra e magicamente in men che non si dica tutto sia risolto. Le provincie non hanno né la bacchetta magica né tantomeno i soldi (purtroppo) ma molta gente non lo sa quindi inizia a fare cose a caso come chiamare i giornali o incolpare in qualche modo il dirigente scolastico. La gente pretende di uscire prima senza che l’assenza venga contata, che è anche giusto se non viene ripristinato il funzionamento della caldaia per esempio. Questa discussione infine si è protratta per due ore anche dopo che i termosifoni sono tornati operativi. Lungi da me affermare che sia una buona cosa avere i termosifoni spenti, m
a allo stesso tempo non puoi pretendere che dopo la minima lamentela le cose si sistemino per magia. Non viviamo nel mondo fatato e non siamo gli unici con i disagi. Per esperienza come rappresentante della consulta altre scuole hanno problemi più grandi e sono messi peggio di noi.

I soldi. Andiamo nel merito della questione. La scuola sta vivendo un periodo di crisi sotto molti punti di vista. In questo passaggio vediamo la crisi più “materiale”. Tutte le scuole hanno dei problemi strutturali. Alcune hanno i tetti che cadono giù, altre hanno le caldaie che non vanno tipo la mia) e certe sono addirittura inagibili. Dopo anni di proteste e svolte mancate abbiamo avuto un barlume di speranza nel 2013 con il caro Renzi che ha promesso di stanziare 3.9 miliardi di euro per le infrastrutture scolastiche. Bene, direbbero alcuni. Purtroppo lo Stato non provvede direttamente a ciò, ma delega le provincie italiane. Piccolo problema tecnico: Renzi le voleva abolire provincie. Secondo alcune fonti parte dei soldi (che a causa dei tagli ai fondi delle provincie dovevano essere dirottati verso i Comuni o comunque altri enti) sono rimasti bloccati perché Renzi si è dimenticato di firmare il decreto (a genius).

Qui si riconoscono le persone veramente informate e le persone che danno fiato alla bocca tanto per sparare qualche cazzata (passatemi il termine). La colpa non è dei presidi che vogliono le caldaie non funzionanti o le sadiche provincie che godono nel vedere gli studenti infreddoliti. I problemi vengono da molto più in alto. I problemi vengono direttamente dalla classe dirigente. Non c’è tanto da stupirsi in fondo, l’Italia è capace di mettere come ministro dell’istruzione una persona di cui non si sa se abbia il diploma o meno (parliamo del diploma di maturità). Il fatto è grave. Ogni governo ha sempre promesso una riforma della scuola, ma siamo sempre giunti ad un semplice riassetto amministravo e di vere riforme nemmeno l’ombra. Per esempio, che senso ha fare le classi digitali se nemmeno tutta l’Italia è coperta dalla banda larga? Più che “Buona Scuola” mi verrebbe da dire “Scuola alla Buona” (cit. il mio professore di latino)

 

Come ho detto prima, però, la scuola sta vivendo una crisi non solo materiale. Essa sta vivendo una crisi strutturale e anche “spirituale”. Oggigiorno gli studenti hanno perso di vista quale sia il fine ultimo della scuola; lo stesso discorso vale anche per i professori e anche per i politici stessi, rei di chiudere gli occhi davanti a una delle crisi peggiori di tutti. La scuola non è un solo un posto dove professori impartiscono concetti che gli studenti apprendono in modo cieco. La scuola deve essere il luogo dove si impara a diventare cittadini, a un posto dove ognuno deve formarsi un proprio pensiero, un posto dove la cultura si tramanda di generazione in generazione. Oggi stiamo assistendo all’involuzione peggiore che la scuola possa subire. Gli studenti di oggi per molti sono solo un nome sul registro, i voti sono l’unica cosa che contano e la personalità del singolo individuo viene brutalmente soffocata da un numero su un registro. Siamo troppo impegnati a gestire la scuola come una sorta di azienda, ma non è un’azienda. È una comunità, un luogo dove la cultura e la memoria del passato viene tramandata. La scuola deve creare cittadini capaci di vivere nella società.

In Italia vari governi hanno sempre chiamato “riforme scolastiche” dei semplici riassetti amministrativi. Oggi più che mai la scuola in Italia ha bisogno di una revisione, di ammodernarsi senza perdere quell’incanto chiamato cultura. La scuola non è fatta solo di banchi, sedie e cattedre; ma è fatta anche di persone, professori e studenti. Vi lascio con una citazione che a me ha colpito molto.

 

Lo scopo della scuola è quello di trasformare gli specchi in finestre.
(Sydney J. Harris)

 

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